L‘arte di Luigi Pagano
Luigi Pagano, Domenica di Pentecoste, S.Messa del giorno, CEI, Nuovo lezionario Festivo B, (Illustrazione di At 2,1-11), tecnica mista su carta 40×30.

L’arte
Luigi Pagano (Scafati 1963), diplomato all’Accademia di Belle Arti di Napoli, insegna Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico Statale di Napoli. Vive e lavora a Scafati. Pittore, da più di un ventennio utilizza gli elementi primari come la terra nera del Vesuvio, I’acqua, i colori primari in terre (rosso, giallo, blu) fluidi, spruzzati, lanciati sulla tela stesa al suolo, come pelle lasciata all’aria aperta a interagire col calore, con la luce ,con gli agenti atmosferici. L’artista, come antico alchimista ricrea processi di trasformazione della materia primordiale. L’opera di Luigi Pagano è vicina al la concezione energetico-spaziale di Fontana, ma si riconoscono reminiscenze dell’lnformale nei suoi primi esponenti: Pollock Burri, Fautrier, Rothko: ciascuno per un aspetto diverso costituisce un preciso riferimento alla sua ricerca. Pollock è certamente evocato nella ritualità della procedura, nel colare a terra i colori, registrando così sul supporto la propria energia fisica, come un tracciato frutto dell’interagire degli elementi dell’action painting sul supporto. In questa partecipazione osmotica al divenire dell’opera egli sembra richiamarsi ai procedimenti di Klein nelle Cosmogonie e nelle Antropometrie. L’immagine esprime in forma simbolizzata la discesa dello Spirito Santo in forma come di fiamme di fuoco. Il mistero nascosto nei secoli, e ora la luce dell’inconoscibile si comunica dividendosi nella parola e nell’opera degli Apostoli che ne sono investiti. SI compie così la promessa del Risorto, e tutta la Creazione, qui nelle cromie azzurre (simbolo dello Spirito), in certa misura ne viene raggiunta e trasformata.
Intro
Lo Spirito Santo è lo Spirito di
Cristo ed è la Persona divina che diffonde nel mondo la possibilità di imitare
Cristo, dando Cristo al mondo e facendolo vivere in noi.
Nell’insegnamento e nell’opera di Cristo, nulla è più essenziale del perdono.
Egli ha proclamato il regno futuro del Padre come regno dell’amore
misericordioso. Sulla croce, col suo sacrificio perfetto, ha espiato i nostri
peccati, facendo così trionfare la misericordia e l’amore mediante – e non
contro – la giustizia e l’ordine. Nella sua vittoria pasquale, egli ha portato
a compimento ogni cosa. Per questo il Padre si compiace di effondere, per mezzo
del Figlio, lo Spirito di perdono. Nella Chiesa degli apostoli il perdono viene
offerto attraverso i sacramenti del battesimo e della riconciliazione e nei
gesti della vita cristiana.
Dio ha conferito al suo popolo una grande autorità stabilendo che la salvezza
fosse concessa agli uomini per mezzo della Chiesa!
Ma questa autorità, per essere conforme al senso della Pentecoste, deve sempre
essere esercitata con misericordiae con gioia, che sono le caratteristiche di
Cristo, che ha sofferto ed è risorto, e che esulta eternamente nello Spirito
Santo.
Il vangelo
Gv 15,26-27; 16,12-15 Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della
verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date
testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne
il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la
verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi
annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è
mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho
detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Le parole
La festa di Pentecoste è memoria di ciò che nello Spirito il Padre ha operato nella vita di Gesù (At 10,38) e del dono dello Spirito alla Chiesa. Chiediamo che la potenza del risorto si effonda sulla Chiesa radunata in preghiera per mezzo dello Spirito per crescere nella fede in Gesù e divenire capaci di annunciare il Vangelo vivendo nella compagnia degli esseri umani e nella fedeltà alla vita di Gesù.
Universale. Dello Spirito il Vangelo
evidenzia un’azione di universalità e di unità. L’universalità abbraccia
il tempo, memoria delle parole di Gesù e apertura al futuro; esiste grazie allo
Spirito un’unità dei credenti, che vivono immerso nel variare e nella
discontinuità del tempo.
Lo
Spirito agisce nella vita del credente e della Chiesa, quando si
manifesta un’unità che non annulla l’alterità e la pluralità a essa connessa.
L’alterità rappresenta dalle culture degli uomini e dalle vicende di cui è
tessuto il tempo e di cui non disponiamo. L’alterità che si manifesta dentro la
stessa Chiesa, in pluralità di scelte di vita, di idee, di teologie… E
l’alterità più profonda che ciascuno di noi conosce dentro di sé e che spesso
guarda con paura.
Lo Spirito può questo, perché permette la glorificazione del Figlio e conduce a
una comprensione globale della verità.
Annuncio. Lo Spirito annuncia il “proprio” del Figlio, la gloria del Padre. Lo Spirito fa interpretare la passione e morte di Gesù come manifestazione della gloria di Dio, come rivelazione del Dio di cui Gesù fu l’interprete in una vita umana.
Rivelazione. Lo Spirito fa comprendere di Gesù – Dio – con – noi che nella Parola divenuta carne accolse la condizione umana interamente. L’accettazione dell’alterità radicale, quella tra finito e infinito, tra divenire ed eterno, tra effimero e duraturo, è già data e voluta in Dio. Essa non annulla la diversità, perché il Risorto rimane il crocifisso, colui che porta i segni della passione, i segni della storia.
Chiesa. Il mistero della Pentecoste fonda la comunione ecclesiale, comunità di peccatori già accolti dal Signore. Questo è il proprio di Gesù che lo Spirito ci annuncia, perché lo accogliamo e ci lasciamo trasformare nel corpo di Cristo. Perché ciò non resti come morto o inerte, lo Spirito guiderà a una comprensione globale della verità, cioè del mistero del Figlio.
Spirito esegeta. Lo Spirito non
riempie la mente di nuovi fatti, ma fa capire che cosa significa avere il
pensiero di Cristo nelle diverse circostanze della vita. Lo Spirito
annuncerà le cose future, ossia inizierà all’incontro fra il Crocifisso risorto
che viene e il nostro oggi. Rendendo vive le parole di Gesù farà comprendere di
cosa è gravido il momento presente. Lo farà leggere alla luce del Signore che
viene. L’alterità del tempo, sia cronologico sia culturale, il tempo che passa
e il mondo in cui si è, non è più una minaccia, ma diventa il momento in cui in
ascolto dello Spirito ci apriamo al Veniente. Così l’alterità non sarà più
motivo di conflitto ma di comunione.
La teologia
At 1, 1-11; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20
1. «Fino ai confini della terra». Tutte e tre le letture della festa odierna ruotano intorno a un unico mistero: che il ritorno di Gesù al Padre è al tempo stesso l’invio della Chiesa in tutto il mondo. La prima lettura distrugge anzitutto l’ingenua aspettativa dei discepoli che il Signore risorto avrebbe fondato il regno di Dio (essi lo chiamano «il regno d’Israele») con la sua autorità sulla terra; ad essi sarebbero affidati allora (come pensavano una volta i figli di Zebedeo Mt 20, 21) automaticamente i posti d’onore. Ma per essi viene pensato qualcosa di più grande: essi – rinunciando alla conoscenza dei tempi e dei termini – vengono arruolati nella costruzione del regno: lo Spirito Santo li renderà a tanto capaci, ma essi dovranno impegnarsi a muoversi «da Gerusalemme e da tutta la Giudea e Samaria fino ai confini della terra». Quasi per aprir loro e liberare questo spazio vasto quanto il mondo, scompare la figura visibile di Gesù: il punto centrale del mondo non è più d’ora in poi là dove egli è visibile, ma ovunque dovrà arrivare la Chiesa.
2. Due promesse. Il Vangelo completa il racconto dell’Ascensione da due parti: mentre il comando della missione ha la stessa vastità («in tutto il mondo»), non viene subito promesso ai discepoli che troveranno ovunque fede: non saranno loro a comunicarla con la loro predicazione, ma Dio – qualora l’uomo accoglierà la sua grazia. Questi la può anche rifiutare – per propria colpa, non per colpa dei predicatori – ed escludere in tal modo se stessi dalla salvezza. Quindi viene promessa, come segno che essi predicando obbediscono allo Spirito Santo, una speciale protezione ed anche un’autorità speciale, così che dovranno attribuire i loro successi non a se stessi, ma al Signore che li manda, e la stessa cosa vale per quelli che per essi vengono alla fede. E di nuovo, con questo ordine e con questa promessa, il Signore ha detto l’ultima cosa, ciò che la Chiesa avrà fino alla fine del tempo da sapere, da seguire e da sperare: perciò segue immediatamente a queste parole il suo scomparire nel cielo.
3. «Per l’edificazione del corpo di Cristo». La seconda è un importante complemento. Essa mostra l’Ascensione sotto due nuovi aspetti. Anzitutto illumina il fatto che l’ascesa di Gesù «sopra tutti i cieli» assolutamente non significa che egli lasci la Chiesa agire da sola; piuttosto è lui che d’ora in poi dall’alto deciderà e consegnerà le diverse missioni personali all’interno della sua Chiesa. Le missioni non si scelgono da noi stessi, ma vengono comunicate a ciascuno dall’alto: se si definiscono come “carismi dello Spirito Santo”, esse sono innanzitutto forme dell’imitazione di Cristo, da lui stesso partecipate ad ogni singolo.
Ma questa differenziazione all’interno della Chiesa di Cristo non ha che uno scopo: guidare tutti «all’unità della fede e della conoscenza» di Cristo, anzi conferire al Signore stesso la sua forma compiuta. A quest’unità si dovrà mirare ed essa verrà comunicata dalla grazia di Dio: se nel cielo un Padre universale, un Cristo e uno Spirito promuovono l’unità ecclesiale, questa deve, mediante l’unità dei sacramenti («un solo battesimo») e dell’atteggiamento spirituale («una sola fede», «una comune speranza»), corrispondere all’unità divina trinitaria, affinché essa possa essere anche nella creazione «sopra tutto e mediante tutto e in tutto».
Esegesi
L’Ascensione di Gesù è narrata per esteso soltanto negli Atti degli Apostoli (cf. 1,1-11). Sorprendentemente l’episodio non si attarda tanto sulla descrizione del distacco di Gesù dai discepoli, ma ci informa sulla storia cristiana che inizia – la nostra storia – indicandone le caratteristiche perenni.
Al centro del racconto leggiamo una scarna annotazione: «Fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (v. 9). La direzione verso il cielo dice riferimento alla sfera divina. La nube è un simbolo classico che accompagna l’apparizione di Dio e indica insieme glorificazione e separazione. La salita verso l’alto e la nube che lo sottrae agli sguardi umani significano che Gesù condivide ormai la gloria di Dio, è entrato in un’esistenza e in un mondo che non cadono più sotto i nostri occhi. Attorno alla partenza del Signore si sviluppa prima e dopo – un dialogo fra Gesù e i discepoli e fra gli angeli e i discepoli. Alla domanda dei discepoli: «È questo il tempo nel quale ricostituirai il regno di Israele?» (v. G), Gesù apporta una triplice rettifica. Ogni pretesa dl previsione è inopportuna e ogni computo è privo dl senso. Il tempo è nelle mani di Dio e questa certezza deve bastare: il resto è inutile curiosità.
In secondo luogo, Gesù rompe l’angusta mentalità nazionalista che ancora sopravvive nei suoi discepoli («il regno di Israele») per aprirli alle dimensioni del mondo: «In tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (v. 8). Nel Vangelo di Luca il punto di arrivo è Gerusalemme, dove si compiono i grandi eventi della salvezza: la passione e la morte del Signore. Negli .Atti degli apostoli Gerusalemme è il punto di partenza geografico: il punto di arrivo è Roma, la capitale del mondo. Termina la storia terrena di Cristo, inizia quella dei discepoli, dei cristiani. Infine, Gesù distoglie i suoi discepoli dal passato e da un’esclusiva attenzione al futuro per volgere il loro sguardo al presente e ai compiti che ora incombono: «Di me sarete testimoni» (v. 8). Essere un testimone è il compito principale di ogni cristiano e non si tratta certo di cosa da poco. Solo lo Spirito Santo ne rende capaci. Testimoniare significa rimanere fedeli alla memoria di Gesù; significa essere capaci di interpretare alla luce di quella memoria i fatti che accadono; significa, infine, avere la forza di parlare di Cristo con efficacia, convinzione e coraggio. Dopo la scomparsa di Gesù, gli angeli distolgono i discepoli da un altro equivoco, quello di guardare in alto, e li invitano a rientrare nella realtà, sulla terra e tra la gente. Non però a ritornarvi come prima, ma rinnovati: trasformati dallo Spirito e rasserenati dalla certezza del ritorno del Signore.
Alla base della domanda dei discepoli («E questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?», v. 6) e del loro atteggiamento («Perché state a guardare il cielo? v. 11), ci sono alcune perplessità: se è vero che la morte/risurrezione di Gesù rappresenta la grande svolta del mondo, come mai tutto sembra continuare come prima? Forse che il capovolgimento avverrà al suo ritorno? E nel frattempo il cristiano deve semplicemente attendere? La risposta di Luca è molto precisa: certo, la risurrezione di Gesù è una svolta, ed è altrettanto vero che il Signore ritornerà. Tuttavia, il cristiano deve sapere che già ora è in corso la trasformazione e già ora se ne vedono i segni, forse non clamorosi, ma reali: c’è lo Spirito, c’è la parola di Gesù che continua a risuonare, c’è una comunità che si sforza di vivere in modo nuovo, e ci sono dei doveri precisi, primo dei quali la testimonianza.
Così, una volta compreso che l’Ascensione non chiude il tempo della salvezza ma lo inaugura e che non ci priva della presenza di Cristo ma, al contrario, ci offre nuove possibilità di incontro e, di conseguenza, di impegno, ci si può soffermare sulla conclusione del Vangelo di Marco (cf. 16,15-20), nella quale Gesù ordina ai suoi discepoli di continuare a fare ciò che lui ha fatto e a dire ciò che lui ha detto. Dopo la sua partenza, l’evangelista annota che i discepoli eseguirono l’incarico e che Gesù continuò a operare insieme a loro e a rendere efficace la loro parola.
Il cammino della comunità ripropone quello di Gesù ma in tensione universale. È la prima sottolineatura ribadita nel racconto evangelico: «in tutto mondo», «ad ogni creatura» (v. 15), «dappertutto» (v. 20). E si corre dappertutto ad annunciare la «(lieta notizia», non altro. Il Vangelo di Marco si apre con le parole: «Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (1,1). E si conclude con la stessa parola: «Proclamate il Vangelo a ogni creatura» (v. 15). Si allarga lo spazio (tutto il mondo e non solo la casa di Israele) e mutano i predicatori (i discepoli e non più direttamente il Cristo), ma l’annuncio rimane il medesimo: identico, nel contenuto e nell’importanza (se lo accogli ti salvi, se lo rifiuti ti perdi). Universalità e fedeltà, ecco dunque le prime due caratteristiche del cammino della chiesa.
E accanto a queste due caratteristiche una terza: la concretezza e l’efficacia, cioè la forza dimostrativa dei fatti. Una forza dimostrativa che non viene dall’uomo ma unicamente dall’invisibile presenza del Signore, e poggia sulla fede. Il linguaggio utilizzato è biblico e stereotipo e non va necessariamente inteso in modo letterale. Indica chiaramente che la parola deve essere accompagnata dai fatti e che deve essere resa credibile mediante alcuni «segni» che solo Dio può compiere. Quali? Certo Dio può compiere miracoli in senso stretto, e se avessimo più fede ci sarebbero più miracoli. Ciò non toglie però che le parole dell’evangelista debbano essere intese in modo più normale, più quotidiano, e tuttavia no n meno convincente . « Segni» da compiere sono lo sforzo di giungere alla radice del male (Satana) e non accontentarsi invece di opporsi ad alcuni suoi sintomi; la generosità di uscire da se stessi (dalla «propria lingua») per parlare le lingue degli altri popoli, per mostrare che il Cristo è veramente universale, che non porta una lingua straniera, ma si incarna nella lingua di ciascun popolo, cioè nelle differenti culture; il coraggio di affrontare ogni rischio («serpenti e veleni»), liberi dalla paura che il mondo vuole incutere al discepolo per arrestarne la voce e la proposta; soprattutto l’amore, la dedizione, l’attenzione ai bisogni («guarire gli ammalati»).
In tutto questo il discepolo sperimenterà continuamente la propria debolezza, la propria incredulità e durezza di cuore. Ma accanto a questa propria debolezza, il discepolo farà esperienza con altrettanta forza della fedeltà di Cristo. Ha fatto bene l’evangelista a concludere il suo racconto con questa sorprendente annotazione: Gesù rimproverò gli undici «per la loro incredulità e durezza di cuore» (16,14), e tuttavia li inviò a predicare nel mondo intero. La sicurezza del discepolo, e la sua fede, sta tutta qui: il discepolo è un uomo che, incaricato di annunciare il Vangelo, troppe volte viene meno, e tuttavia non viene meno la fedeltà di Dio nei suoi confronti. Per questo il cammino della comunità rimane, nonostante tutto, continuamente aperto e ricco di possibilità.
I Padri
O Cristo, scendendo dal cielo in terra,
come Dio facesti risorgere con te il genere umano
dalla schiavitú dell’inferno cui soggiaceva,
e per la sua Ascensione lo riconducesti al cielo
facendolo sedere con te sul trono del Padre tuo,
perché sei misericordioso ed amante degli uomini.
(Liturgia Bizantina, EE, n. 3151 )
1.Primo Discorso sull`Ascensione del Signore
Carissimi, questi giorni intercorsi tra la Risurrezione del Signore e la sua Ascensione non sono trascorsi nell`oziosità; grandi misteri vi hanno invece ricevuto conferma, e grandi verità sono state svelate. E in questi giorni che viene abolita la paura di una morte temuta e viene proclamata non solo l`immortalità dell`anima, ma anche quella della carne. E` in questi giorni che viene infuso lo Spirito Santo in tutti gli apostoli attraverso il soffio del Signore (cf. Gv 20,22) e che, dopo aver ricevuto le chiavi del Regno, il beato apostolo Pietro si vede affidata, con preferenza sugli altri, la cura del gregge del Signore (cf. Gv 21,15-17). E in questi giorni che il Signore si affianca ai due discepoli in cammino (cf. Lc 24,13-35) e che, per sgombrare il terreno da ogni dubbio, contesta la lentezza a credere a coloro che tremano di spavento. I cuori che egli illumina sentono ardere la fiamma della fede, e quelli che erano tiepidi diventano ardenti quando il Signore apre loro le Scritture. Al momento della frazione del pane, si illuminano gli sguardi di coloro che siedono a mensa; i loro occhi si aprono per veder manifestata la gloria della loro natura, molto piú beatamente di quelli dei principi della nostra specie ai quali il crimine apporta confusione. Tuttavia, dato che gli spiriti dei discepoli, in mezzo a queste meraviglie e ad altre ancora, continuavano a scaldarsi in inquieti pensieri, il Signore apparve in mezzo a loro e disse: La pace sia con voi (Lc 24,36; Gv 20,26). E perché non restasse in loro il pensiero che andavano rimuginando nella mente – credevano, infatti, di vedere un fantasma e non un corpo -, rimproverò loro i pensieri contrari al vero e mise sotto i loro occhi esitanti i segni della crocifissione che serbavano le sue mani e i suoi piedi, invitandoli a toccarli attentamente; aveva voluto conservare, infatti i segni dei chiodi e della lancia per guarire le ferite dei cuori infedeli. Cosí, non è da una fede esitante, bensì da una conoscenza molto certa, che affermeranno che la natura che stava per sedere alla destra del Padre, era la stessa che aveva riposato nel sepolcro.
Durante tutto questo tempo, carissimi, intercorso tra la Risurrezione del Signore e la sua Ascensione, ecco dunque a cosa volse le sue cure la Provvidenza di Dio; ecco ciò che essa volle insegnare; ecco ciò che essa mostrò agli occhi e ai cuori dei suoi; perciò si riconoscerà come veramente risorto il Signore Gesú Cristo che era davvero nato, aveva sofferto ed era morto. Così i beati Apostoli e tutti i discepoli, resi timorosi dalla sua morte sulla croce, e che avevano esitato a credere alla sua Risurrezione furono a tal punto riconfermati dall`evidenza della verità che quando il Signore si levò verso le altezze dei cieli, non solo non furono presi da tristezza alcuna, bensì furono ripieni da una grande gioia (cf. Lc 24,52). E, in verità, grande e ineffabile era la causa di quella gioia, allorché in presenza di una santa moltitudine, la natura umana saliva al di sopra delle creature celesti di ogni rango, superava gli ordini angelici e si elevava al di sopra della sublimità degli arcangeli (cf. Ef 1,21), non potendo trovare a livello alcuno, per elevato che fosse, la misura della sua esaltazione fintanto che non venne ammessa a prender posto alla destra dell`eterno Padre, che l`associava al suo trono di gloria dopo averla unita nel Figlio suo alla sua stessa natura.
L`Ascensione di Cristo è quindi la nostra stessa elevazione e là dove ci ha preceduti la gloria del capo, è chiamata altresì la speranza del corpo. Lasciamo dunque esplodere la nostra gioia come si deve e rallegriamoci in una fervorosa azione di grazie: oggi, infatti, non solo siamo confermati nel possesso del paradiso, ma siamo anche penetrati con Cristo nelle altezze dei cieli; abbiamo ricevuto piú dalla grazia ineffabile di Cristo di quanto non avevamo perduto per la gelosia del Maligno. Infatti, coloro che quel virulento nemico aveva scacciato dal primo soggiorno di felicità, il Figlio di Dio li ha incorporati a sé per collocarli in seguito alla destra del Padre.
(Leone Magno, Omelia 73 [60], 2-4)
2. La Risurrezione del Signore è la causa della nostra gioia
In occasione della festività pasquale, la Risurrezione del Signore si presentava come causa della nostra gioia; oggi ricorre la sua Ascensione al cielo che ci offre nuovi motivi di gioia, in quanto commemoriamo e veneriamo, come si conviene, il giorno in cui l’umiltà della nostra natura è stata elevata in Cristo al di sopra di tutte le schiere celesti, al di sopra di tutti gli ordini angelici e oltre la sublimità di tutte le potenze (cf. Ef 1,21), fino a condividere il trono di Dio Padre. E su questa disposizione delle opere divine che siamo costituiti ed edificati; la grazia di Dio diviene, in verità, piú ammirevole quando fa sí che la fede non dubiti, che la speranza non vacilli, che la carità non si intiepidisca, allorché è scomparso dalla vista degli uomini ciò che, con la sua presenza sensibile, meritava di ispirare loro il rispetto. Tale è in effetti, la forza propria dei grandi spiriti, tale la luce propria delle anime eminentemente fedeli: essa consiste nel credere incrollabilmente ciò che non vedono con gli occhi del corpo e nel fissare il proprio desiderio là dove non può arrivare la vista. Ma una tale pietà come può nascere nei nostri cuori, o come possiamo essere giustificati dalla fede, se la nostra salvezza risiedesse solo in ciò che cade sotto i nostri occhi? Di qui, la parola detta dal Signore a quel tale che sembrava dubitare della Risurrezione di Cristo, ove non gli fosse stata offerta la possibilità di verificare con i propri occhi e di toccare con le proprie mani i segni della Passione nella carne [del Signore]: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati coloro che pur non vedendo crederanno (Gv 20,29).
Per renderci capaci di questa beatitudine, carissimi, nostro Signore Gesú Cristo, dopo aver realizzato tutto ciò che era conforme alla predicazione del Vangelo e ai misteri della Nuova Alleanza, quaranta giorni dopo la sua Risurrezione, ascese al Cielo alla presenza dei discepoli. Mise cosí termine alla sua presenza corporale, per rimanere alla destra del Padre suo fino a che siano compiuti i tempi divinamente previsti perché si moltiplichino i figli della Chiesa e ritorni a giudicare i vivi e i morti, nella stessa carne nella quale è asceso. Ciò che si era potuto vedere del nostro Redentore è dunque passato nei misteri; e, affinché la fede divenga piú eccellente e piú ferma, l`istruzione è succeduta alla visione: è sulla di lui autorità che il coro dei credenti, illuminati dai raggi provenienti dall`alto, ormai faranno leva.
Su questa fede, che l`Ascensione del Signore aveva aumentata e che il dono dello Spirito Santo aveva fortificata, né le catene, né le prigioni, né la fame, né il fuoco, né le belve, né i raffinati supplizi di crudeli persecutori potranno prevalere per paura. Per questa fede, in tutto il mondo, non solo gli uomini, ma anche le donne; non solo i fanciulli, ma anche tenere vergini lotteranno fino alla effusione del sangue. Questa fede mise in fuga i demoni, scacciò le malattie, risuscitò i morti. Cosí, gli stessi santi Apostoli che, quantunque fortificati da tanti miracoli e istruiti da tanti discorsi, si erano nondimeno lasciati spaventare dall`atroce Passione del Signore e avevano accettato non senza esitazione la verità della sua Risurrezione, trassero dalla sua Ascensione un tal profitto che tutto ciò che prima costituiva motivo di paura ora diveniva soggetto di gioia. Tutta la contemplazione della loro anima li aveva elevati, in effetti, verso la divinità di Colui che sedeva alla destra del Padre; la vista del suo corpo non era piú ormai un ostacolo che potesse attardarli o impedir loro di fissare lo sguardo dello spirito su quella Verità che, scendendo verso di essi, non aveva lasciato il Padre suo, e che, ritornando verso quest`ultimo, non si era allontanata dai suoi discepoli…
Esultiamo dunque, carissimi, di una gioia spirituale e, rallegrandoci davanti al Signore in degna azione di grazie, eleviamo liberamente gli sguardi dei nostri cuori verso quelle altezze dove si trova Cristo. Le anime nostre sono chiamate in alto: non le appesantiscano i desideri terrestri; esse sono predestinate all`eternità. Non le accaparrino le cose destinate a perire: esse sono entrate nella via della verità. Non le trattenga un ingannevole fascino; in tal guisa, i fedeli trascorrano il tempo della vita presente sapendo di essere stranieri in viaggio in questa valle del mondo in cui, anche se li lusinga qualche vantaggio, non debbono attaccarvisi colpevolmente, bensí trascenderli con vigore.
(Leone Magno, Omelia 74 [61], 1-3.5)
3. Con Gesú si ascende solo in compagnia delle virtù
La terra e quanto essa contiene appartiene al Signore (Sal 23,1ss) Che cosa avviene, dunque, di nuovo, o uomo, se il nostro Dio fu visto in terra, se visse con gli uomini? Egli stesso creò la terra e la stabilí [con leggi]. Per la qual cosa non è né cosa insolita, né assurda che il Signore venga presso le proprie creature. Infatti, egli non si trova in un mondo straniero, ma proprio in quello che egli stesso stabilì e creò, che poggiò la terra sui mari e fece in modo che fosse situata nella posizione migliore presso il corso dei fiumi. Per quale motivo poi egli venne se non perché dopo averti liberato dalla voragine del peccato, ti conducesse sul monte, il carro del regno, cioè la pratica della virtù durante l’ascensione?
Non si può, infatti, ascendere su quel monte, se non ti servi delle virtù come compagne (di viaggio), e, con le mani pure da ogni colpa, e non macchiato da alcun delitto, con il cuore innocente non volgi il tuo animo a nessuna vanità e né inganni il tuo fratello con frode.
La benedizione è il premio di tale ascensione, e ad essa il Signore largisce la sua misericordia.
Questa è la generazione delle anime che lo cercano, di quelle che salgono in alto per mezzo della virtù, e di quelle che cercano il volto del Dio di Giacobbe.
La rimanente parte di questo salmo è piú sublime, forse, anche per il tono evangelico e la dottrina.
Infatti, il Vangelo del Signore narra le abitudini e la vita che egli condusse in terra, e il suo ritorno in Cielo. Questo sommo Profeta, d`altronde, innalzandosi sopra se stesso, come se non fosse impedito da nessun peso del corpo, entra nei Celesti Poteri, e ci riferisce le loro voci, allorché, accompagnando il Signore che ritornava in Cielo, agli angeli che risiedono sulla terra, ai quali fu affidata la venuta nella vita umana, danno ordini in questo modo: Togliete, o principi, le vostre porte, e voi, porte eterne, elevatevi: entrerà il Re della gloria.
E poiché, dovunque, sarà presente colui che in se stesso contiene tutte le cose, misura (se stesso) secondo la capienza di quelli che lo ricevono; e né solamente, infatti, tra gli uomini si fa uomo, ma anche tra gli angeli si trova, e si libera alla loro natura: per questo i custodi delle porte interrogano il narratore: Chi è questo Re della gloria?
Rispondono loro e lo manifestano come forte e potente in battaglia, che combatterà contro colui che tratteneva la natura umana prigioniera nella schiavitú, e rovescerà colui che aveva il dominio della morte (Eb 2,14); in tal modo, debellato il pericolosissimo nemico, riconducesse il genere umano nella libertà e nella pace. Di nuovo ripete le medesime voci.
Adempiuto, infatti, è già il mistero della morte e la vittoria è stata riportata sui nemici e contro di essi è stato rivolto il trofeo della croce. Ascese in alto, conducendo prigioniera la schiavitú (Sal 67,19) colui che concesse agli uomini la vita, il regno, e questi importanti doni.
Poste per lui, di nuovo si debbono spalancare le porte. Gli vanno incontro i nostri custodi, i quali impongono di chiudere le porte, affinché di nuovo consegua la gloria in essi.
Ma essi non conoscono colui che si è rivestito della veste macchiata della nostra vita, i cui abiti sono rossi dal torchio dei peccati degli uomini. Perciò, di nuovo i suoi compagni sono interrogati da quelle parole: Chi è questo Re della gloria? Ma non sarà risposto piú: Forte, potente in battaglia, ma il Signore delle potenze, che ottenne il dominio del mondo, che assomma in sé tutte le cose, che in tutte possiede le prime, che restituí tutte le cose all`antica condizione, questi è il re della gloria.
(Gregorio di Nissa, Omelia dell’Ascensione, passim)
4. Il corpo di Cristo è in cielo com`era sulla terra
Mi domandi «se il corpo del Signore abbia adesso le ossa e il sangue con tutte le altre fattezze fisiche»… Dio può prolungare ovunque e per tutto il tempo che vorrà l`incorruttibilità di qualsiasi corpo. Io quindi credo che il corpo del Signore si trova nel cielo nello stesso identico stato in cui era sulla terra al momento della sua ascensione al cielo. Infatti ai suoi discepoli, i quali, come si legge nel Vangelo, dubitavano della sua risurrezione (cf. Lc 24,37) e credevano che fosse uno spirito e non già un corpo quello che vedevano, il Signore disse: Osservate le mie mani e i miei piedi; palpate ed osservate, poiché lo spirito non ha né ossa né carne, come vedete che ho io (Lc 24,39). Come l`avevano toccato i suoi discepoli con le loro mani mentre era sulla terra, cosí i loro sguardi lo accompagnarono mentre saliva al cielo. S`intese allora la voce di un angelo dire: Egli tornerà cosí come lo avete visto salire al cielo (At 1,11).
(Agostino, Epist. 205, 1.2 )
5. Vigilanza cristiana
Perciò, fratelli dilettissimi, occorre che col cuore ci volgiamo là dove crediamo che Egli sia asceso col corpo. Fuggiamo i desideri terreni, nulla più ci diletti quaggiú, poiché abbiamo un Padre nei cieli. E ciò noi dobbiamo considerare attentamente, poiché Colui che mite salí in cielo tornerà terribile; e tutto ciò che ci insegnò con mansuetudine, esigerà da noi con severità. Nessuno, dunque, tenga in poco conto il tempo dovuto alla penitenza; nessuno, mentre è nel pieno delle proprie forze, trascuri se stesso, poiché il nostro Redentore quando verrà a giudicarci sarà tanto piú severo quanto piú paziente è stato con noi prima del giudizio. Pertanto, fratelli, fate questo tra voi e su questo meditate assiduamente. Sebbene l`animo, sconvolto dalle passioni terrene, sia ancora incerto, tuttavia adesso gettate l`ancora della vostra speranza verso la patria eterna, fortificate nella vera luce i propositi dell`animo. Ecco abbiamo sentito che il Signore è asceso al cielo. Perciò meditiamo sempre su ciò in cui crediamo. E se ancora siamo trattenuti qui dall`impedimento del corpo, tuttavia seguiamo Lui con passi d`amore. Non può lasciare insoddisfatto il nostro desiderio Colui che ce l`ha ispirato, Gesú Cristo Nostro Signore.
(Gregorio Magno, Omelia 2, 29, 11)
6. Vivere per le cose di lassú
Oggi, come avete sentito, fratelli, Nostro Signore Gesú Cristo è salito in cielo: salga con lui anche il nostro cuore. Ascoltiamo l`Apostolo che dice: Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassú, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassú, non a quelle della terra (Col 3,1-2). Infatti, come egli è salito [in cielo] e non si è allontanato da noi, cosí anche noi siamo già lassú con lui, sebbene nel nostro corpo non sia ancora accaduto ciò che ci viene promesso. Egli ormai è stato innalzato sopra i cieli. In verità, non dobbiamo disperare di raggiungere la perfetta ed angelica dimora celeste, per il fatto che egli ha detto: Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell`uomo che è disceso dal cielo (Gv 3,13). Ma ciò è stato detto perché siamo uniti a lui: egli è infatti il nostro capo e noi il suo corpo. Se, quinli, egli sale in cielo, noi non ci separiamo da lui. Colui che è disceso dal cielo non ci nega il cielo; ma in un certo modo ci dice: «Siate le mie membra, se volete salire in cielo». Dunque fortifichiamoci intanto in ciò che piú desideriamo vivamente. Meditiamo in terra ciò che ci aspettiamo [di trovare] nei cieli. Allora ci spoglieremo della carne mortale, ora spogliamoci dell`uomo vecchio. Un corpo leggero si alzerà nell`alto dei cieli, se il peso dei peccati non opprimerà lo spirito. (Agostino, Sermo 263, 2)
7. Inno per la festa dell`Ascensione
Eterno, Altissimo Signore,
che hai redento il mondo;
tu, distrutto il regno della morte,
hai fatto trionfare la grazia.
Alla destra del Padre sei salito,
o Gesú, e siedi quale giudice
non dalla terra, ma dal cielo hai
ricevuto ogni tuo potere.
Sali per accogliere l’omaggio
del triplice mondo creato:
celeste, terrestre ed infernale,
che, a te sottomesso, si inginocchia.
Tremano gli angeli vedendo
la sorte dei mortali capovolta:
l`uomo pecca, redime l`Uomo;
regna Dio, l`Uomo Dio.
Nostra gioia sii tu che in cielo attendi
per farti premio a noi; tu che governi
con la destra ogni cosa del mondo
tu che oltrepassi ogni gioia mondana.
E noi quaggiú noi ti supplichiamo,
dimentica le nostre colpe,
solleva in alto i cuori verso te
porgi l`aiuto di tua immensa grazia.
Così che quando tornerai
improvviso giudice
luminoso sulle nubi,
allontanate le nostre colpe
fa che ci vengano ridonate
le perdute corone di gloria.
A te, Signore risorto dalle strette della morte, sia gloria
e al Padre, e al Santo Spirito,
ora e nei secoli perenni. Amen.
Aeterne Rex altissime, Inno dell’Ascensione,