Francesco (e Jacopo Da Ponte), tra il 1576-1577, olio su tela, , Sarah Campbell Blaffer Foundation Houston (USA).

“Nulla di eccentrico, in questa immagine, eccetto il fatto della presenza di due architetture, due spazi, dentro uno stesso paesaggio. Le figure sono coerenti, normali, non lo sono gli spazi e il paesaggio. Il commento visivo di Jacopo ha preso la via dell’ospitalità, per cui ecco la presenza di un gran numero di elementi dell’ospitalità (la tavola, il focolare..). Il paesaggio invece sembra non aver nulla a che fare col resto.
C’è poi un contrasto tra due tipi di ospitalità, quella di Maria (che ascolta il Signore in ginocchio ai suoi piedi) e quella di Marta (che invita Gesù a tavola). E’ giusto che la donna possa solo accogliere la Parola? Alla fine però Maria, la donna silenziosa, è lodata, mentre Marta, che ha parlato, viene messa a tacere.
Gesù sa perfettamente che chi lo ascoltava allora, così come oggi, sta dalla parte di Marta, del ‘fare’, del servizio, mentre dichiarando che la parte migliore, e che non le sarà tolta, è quella di Maria mette in crisi i suoi ascoltatori. Il primo compito del discepolo (maschile o femminile che sia) è la sequela e l’ascolto del Signore. La scelta di Maria (implica il rifiuto del ruolo solo casalingo della donna. Gesù d’altronde non impone una scelta secca: o ascolto o servizio concreto, ma relativizza questo rispetto alla Parola. La retorica del primato della Parola sul servizio è stata usata nella polemica protestanti/cattolici.
In Jacopo però l’opposizione Parola/servizio – ascolto/coerenza pratica resta un dramma: chi ascolta la Parola e non la mette in pratica è simile a una casa costruita sulla sabbia.. (Mt 7)- Tuttavia se ospitalità e discepolato sembrano non poter coesistere, ci sono dettagli che orientano verso una prospettiva complementare.
Sulla tavola, davanti al posto vuoto lasciato per Gesù, ci sono pane e vino con dei lini bianchi (vi ricorda nulla?). Il lato dell’ospitalità non è uno spazio secolare dominato dal servizio, perché è una casa/chiesa quella a cui Marta invita Gesù.
Allora la tensione si sposta dall’opposizione Parola/servizio a quella Parola-eucaristia-servizio/indifferenza-acedia (l’uomo che sta tranquillamente seduto a tavola mentre si taglia una fetta di salame è proprio l’opposto di Marta e Maria ed è ritratto mentre guarda con bramosia ciò che l’altra donna sta cucinando sul fuoco!). Giorgio Balbo
NOTIZIE STORICO CRITICHE
L’opera è una replica con piccole varianti di una tela attribuita a Jacopo e Francesco Bassano conservata nel Museum of Fine Arts di Houston (collezione Sarah Campbell Blaffer Foundation). Esistono altre repliche del tema, a Zagabria (Galleria Strossmayer), a Kassel (Gemäldegalerie), a San Pietroburgo (Ermitage), a Firenze (Palazzo Pitti)
1576 – 1577
Riferimenti evangelici: Vangelo di Luca 10, 38-42 e Gv 12,1-8
Gesù Cristo nella casa di Marta e Maria di Betania, dipinto eseguito tra il 1576 – 1577, ad olio su tela da Jacopo da Ponte, detto Jacopo Bassano (1510 ca. – 1592), in collaborazione con il figlio Francesco (1549- 1592), proveniente dal Palazzo Ducale di Mantova ed oggi conservato presso la Sarah Campbell Blaffer Foundation di Houston (USA).
Descrizione
La scena dell’opera si svolge all’interno di una rustica cucina veneta con camino e piattaia, in una sorta di androne a botte in prospettiva. Nel dipinto compaiono:
Gesù in piedi sta entrando nella casa ed è accolto dalle due sorelle Marta e Maria di Betania.
Maria, sorella di Marta e di Lazzaro, inginocchiata, accanto a Gesù esprime in questo modo la sua intensa devozione. In quest’opera è identificata con Maria Maddalena pentita.
Marta indica a Gesù la tavola imbandita in segno di reverente accoglienza.
Un uomo è seduto davanti alla tavola ben apparecchiata, e sta affettando il salame.
Due apostoli, alle spalle di Gesù.
Inoltre, in primo piano compaiono altri personaggi, come:
La Cuoca, affaccendata intorno al focolare sta girando la zuppa nel fuoco;
Un giovane garzone con la cesta dei pesci, forse allude al tema eucaristico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, sia pure in un contesto d’immediato realismo;
Ci sono come d’abitudine per i Dal Ponte, Animali domestici e varie nature morte.
C’è una chiara relazione tra l’interno e l’esterno: nel paesaggio che si apre sullo sfondo di là dall’arcata, nella luce del lontano tramonto il racconto continua presso il pozzo con la donna che attinge l’acqua.
ll Vangelo di Luca (Lc 10, 38-42) in cui si narra come le due sorelle Marta e Maria Maddalena accolsero Gesù nella loro casa, ma mentre Marta si affanna in faccende domestiche per offrire la migliore ospitalità, Maria si siede ad ascoltare la parola del Figlio di Dio. Alle lamentele di Marta, rimasta priva dell’aiuto della sorella, Gesù risponde: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta». Il profondo messaggio dell’episodio sta nel curare anzitutto lo spirito e l’interiore religiosità rispetto alle quotidiane necessità pratiche. Ma il dipinto dei Bassano, così animato e vivace nella descrizione della grande cucina con tavola imbandita e cibarie di ogni tipo, lascia ben poco spazio al senso religioso del racconto, usato come pretesto per una scena di genere: si osservi ad esempio la figura di Gesù che entra quasi defilato nel grande ambiente domestico, riconoscibile solo grazie all’aureola luminosa che ne contraddistingue il capo.
La descrizione dell’ambiente è del tutto predominante: la grande cucina rustica si apre su di un ampio paesaggio collinare – di gusto tipicamente veneto- ed è attrezzata con vari generi di utensili, paioli in rame, piatti in stagno, ciotole e setacci; è una cucina dove l’opulenza del cibo trionfa con grande varietà di pollami e di pesci. Una cuoca è china in primo piano sulla grande pignatta in cui cuoce la minestra che avidamente viene fissata da Lazzaro già intento a consumare il suo pasto. Certamente vi sono qui sottintesi i vizi dell’ingordigia e della gola contrapposti alle virtù dello spirito e del sacrificio, ma l’insieme risulta una piacevole descrizione di un ambiente domestico della fine del Cinquecento.
Probabilmente proprio per tale piacevolezza descrittiva che circonda i contenuti moraleggianti, questo soggetto conobbe una straordinaria fortuna nella pittura veneta a partire dagli anni Settanta del Cinquecento, con un gran numero di repliche e derivazioni conservate sia in musei italiani, sia europei e d’oltreoceano.
Il prototipo è da riconoscere nella produzione di Jacopo Bassano in collaborazione col figlio maggiore Francesco, nella cui bottega lavorarono anche Leandro e Gerolamo, figli minori di Jacopo.
da: “RIVIVE A VICENZA: “LA BOTTEGA DEI BASSANO DETTI DAL PONTE”
di Marica Rossi
(…) “I più bravi (della bottega) Francesco (primogenito) e Leandro (il terzo) ebbero il privilegio di dipingere a stretto contatto con il padre che affidò loro anche dopo la sua morte l’atelier in laguna. Gli altri due furono invece destinati a diventare gli amministratori unici dell’impresa bassanese ricevendo poi per volontà testamentarie (febbraio 1592 a due giorni dal decesso il 13 del mese) l’enorme quantità di materiale dell’inventario della bottega (Carlo Corsato “Dai Dal Ponte. Eredità di Jacopo, le botteghe dei figli e l’identità artistica di Michele Pietra”). La bassanese era sempre stata la casa madre per la costante presenza di Jacopo, munito com’era di doti professionali inarrivabili (invenzione + mestiere) e saggezza, religiosità e dedizione alla famiglia. Sensibile alla bellezza della natura e degli animali dotò questi ultimi dello stesso sguardo ‘umano’ delle persone, come per l’amato gatto che teneva in atelier e sbucava spesso nelle sue composizioni. Anzi, come afferma la studiosa (pure artista dell’incisione) Marina Alberghini in “Jacopo Bassano e il suo gatto” Arti Grafiche COLOR BLACK Novate Milanese”, Jacopo col suo gatto Menegheto formò una strana coppia. Un duetto fatto dell’idealismo e generosità di lui vero patriarca biblico e della sospettosità, tetraggine e bruttezza del felino. Un tutto che incuriosisce per come il pittore lo ritrasse realisticamente curando di variarne l’aspetto negli anni come uno di noi che inesorabilmente invecchia!
(…) Francesco fu autonomo nell’invenzione e Leandro nell’esecuzione. Jacopo concedette presto (ai due) la firma accanto alla sua. Gli altri due acquistarono via via autorevolezza nell’atelier di Bassano in diverse guise. Infatti Gerolamo (che frequentò anche medicina nello studio di Padova dove incontrò Galileo estimatore dei dipinti dei Dal Ponte) era ‘abilissimo copista’ di Jacopo (C. Ridolfi ne “Le maraviglie dell’ arte”, Venezia 1648), mentre Giambattista era spigliato nelle trasposizioni dei moduli su tela. Questo sistema proto-industriale ha origine nella formazione artistica di Jacopo per i metodi di progettazione e nella pratica di copiare le tele in studio con lucidi che consentivano di replicare all’infinito le composizioni. Così nella fucina dove le risorse erano sfruttate al massimo a fronte della crescente richiesta, avveniva che il maestro definisse le idee, ne calibrasse le componenti espressive partendo da una figurazione originale e insegnando la preparazione dei colori prima di metter in cantiere la traduzione anche seriale dei soggetti. E se è vero che le repliche erano una consuetudine nel Rinascimento, è fuor di dubbio che quei lavori replicati dai Bassano restano unici (Mattia Vinco e Francesca del Torre). (…) Molto di quello che si sa della destinazione delle opere, della committenza, dei costi e dei ricavi delle botteghe è proprio merito del ritrovamento del succitato “Secondo libro dei conti” ad opera dell’accademico vicentino Michelangelo Muraro.
4 FEBBRAIO 2022