L’ARTE PER IMPARARE A CONTARE I GIORNI

Giorgio De Chirico, L’enigma dell’ora, 1911

 

 «L’enigma dell’ora» è un olio su tela di  De Chirico, dipinto nel 1911 durante il soggiorno parigino. Isolato, o auto-isolato rispetto alle cd. avanguardie storiche, l’A. inaugurò un filone dagli esiti inattesi. Auguro a tutti gli amici artisti un felice 2o2o con questo sguardo artistico (che non è solo un semplice “vedere”)

 

 

 L’opera fa parte della serie  «Piazze d’Italia». La vista – come la vita – è sempre prospettica… a volte centrata e a volte incidentale, corretta o risolta da errori  geometrici di particolari o d’impianto. L’Autore preferisce sempre molteplici punti di fuga, come i nostri corrispondenti punti di vista, che fortunatamente sono sempre più di uno.

L’artista deforma l’immagine per alludere che ogni esperienza, ogni percezione, portano con sè un elemento di mistero. Nell’esistenza quello che sembrava scontato  appartiene ad un’ inedita storia. Anche lee piazze vicentine sono piene di statue, che nelle varie ore del giorno sono plasmate dalla luce, e di notte dalle ombre: talvolta assumono  posture ironiche; in altri momenti diventano muse inquietanti,  da classicheggianti diventano assurdi assemblaggi d’improbabili  materiali,  o alludono a tutt’altro.

Siamo posti all’ingresso di una specie stazione. A differenza di altre opere, qui le figure umane sono appena intuite: una donna  di spalle vestita di bianco  appare in primo piano, e un uomo è inserito fuggevole nella quarta arcata. Forse qualcuno si sporge dal terrazzo vicino all’orologio.

Come nella più netta metafisica l’aria è  limpida e pulita. La luce  differenzia le zone chiaramente illuminate e le ombre  oscure. la luce proviene da sinistra e taglia con precisione la piazza. Il cielo travalica le architetture con una luce indefinita. Perchè  De Chirico intitola l’opera “l’Enigma dell’ora”? Forse l’orologio è fermo… come tanti orologi di spazi pubblici, danneggiati o non più alimentati da tensione. Ma noi che ammiriamo questa tela non sapremo mai se questo orologio  funziona o non funziona. Ne possediamo solo un’immagine, un istante di vita colta dall’artista in quel giorno e in quell’ora… e nota solo a lui. A noi resta solo un’immagine, e i nostri stessi ricordi evocati. Fermi. Immobili. Forse è proprio quelle fermezza e quell’immobilità  a suggerire anche a noi che anche l’orologio è fermo… e già allora segnava un altro tempo… o forse quell’orologio è l’unica cosa che continua a muoversi,  dentro di noi, nei nostri pensieri e nei nostri ricordi. 

L’architettura, vagamente citando scorci fiorentini, è ridotta all’essenziale,  senza decorazioni . A noi vicentini ricorda la facciata “novecento” della stazione ferroviaria. Ma qui la classicità è una citazione senza tempo, forme pure alla ricerca di armonia, ritmo, proporzione, equilibrio: cosa c’è di più metafisico che varcare la porta di una stazione per partire?

L’orologio fermo, magari è quello dei ricordi. Qualcuno ci insegni a contare i nostri giorni, perchè – almeno – giungiamo alla sapienza del cuore. Buon 2o2o!  Gino Prandina

 

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