Natività, Catacombe di Priscilla, Roma, III secolo

 

 

IL PRESEPE

di Gianfranco Ravasi

 

 

«Vorrei fare memoria di quel Bambino che è nato a Betlemme e in qualche modo intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Era l’anno 1223 e mancavano quindici giorni al Natale: san Francesco – che due settimane prima aveva avuto la gioia di veder approvata da papa Onorio III la Regola dei suoi frati – esprime questo desiderio a un certo Giovanni, «un uomo molto caro» al santo. E la notte di Natale «Greccio diventa la nuova Betlemme», con la scena della nascita di Cristo resa viva e palpitante, mentre Francesco «vestito da levita, perché era diacono, canta con voce sonora il santo Vangelo e parla poi al popolo con parole dolcissime».

Anche se tutti conoscono questa storia della genesi del presepio, ho voluto rievocarla attraverso la testimonianza di un suo contemporaneo, Tommaso da Celano nella sua biografia del santo, nota come Vita Prima. È ancora lui a spiegare il senso di quella sacra rappresentazione natalizia: «In quella scena si onora la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà». Sono queste le tre stelle simboliche che brillano nella notte del Natale di Gesù ed è proprio questa costellazione a far comprendere quanto il presepio travalichi la stessa fede cristiana e diventi un segno universale per tutti gli uomini e le donne dal cuore e dalla vita semplice, povera e umile.

Anzi, quel quadretto, modellato un po’ liberamente sul racconto dell’evangelista Luca (2,1˗20), da allora si è trasformato in un caposaldo della storia dell’arte e, quindi, cancellarlo dalla conoscenza delle giovani generazioni attuali vorrebbe dire rendere incomprensibile una serie sterminata di opere d’arte distribuite nei secoli.

(…)

Perdere il presepio, perciò, vuol dire non solo cancellare un emblema spirituale nel quale si possono ritrovare le famiglie misere dei barconi che approdano alle nostre coste con madri che stringono al seno bambini denutriti e sfiniti, ma è anche strappare un numero enorme di pagine della nostra storia culturale più alta.

Nel presepio, dunque, s’incontrano componenti squisitamente cristiane, come l’incarnazione del Figlio di Dio («Il Verbo divenne carne», scriverà san Giovanni), assumendo un volto, una storia, una patria terrena, o temi come la maternità divina di Maria e il compimento dell’attesa messianica. Essi, però, s’intrecciano con soggetti universali, come la vita, la maternità, l’infanzia, la sofferenza, la povertà, l’oppressione, la persecuzione. L’altezza teologica, spirituale, umana di questi temi è espressa con grande sobrietà e intensità nel racconto evangelico, ma è stata anche resa più calda e colorita attraverso la tradizione popolare e persino il folclore.

Bertolt Brecht, che in una sua poesia ricompone il suo presepio vivente costituito da una famiglia povera, simile a quella dei tanti profughi che vivono negli accampamenti o nelle città sotto l’incubo della guerra e anche di non poche case italiane che stanno vivendo momenti difficili.

«Oggi siamo seduti, alla vigilia di Natale, /

noi, gente misera 

in una gelida stanzetta. 

Il vento corre di fuori, 

il vento entra. 

Vieni, buon Signore Gesù, da noi!

Volgi lo sguardo: 

perché Tu ci sei davvero necessario».

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